LE ATTENZIONI E LE CAREZZE CHE NUTRONO: il bisogno di riconoscimento
di Simona Stravato, Psicologa presso Centro Apice
Siamo soliti intendere la carezza come un gesto affettuoso, magari compiuto toccando o sfiorando con la mano il volto o il corpo di una persona. Ed è così, o meglio anche così. Si perché ogni comunicazione, che riconosca l’esistenza dell’altro, può essere considerata carezza.
E’ carezza il “ciao” detto a qualcuno, un sorriso, una stretta di mano, il dire “ti voglio bene”, il rendersi disponibile per qualcosa, l’ascoltare con attenzione. Le carezze sono infatti unità di riconoscimento esistenziale, è come comunicare all’altro “so che ci sei”. In questo senso, secondo la corrente teorica dell’Analisi Transazionale, le carezze possono essere positive, se generano una sensazione piacevole in chi le riceve, ma possono essere anche negative, se invece risultano spiacevoli per chi le riceve. Secondo quest’accezione, anche uno schiaffo o una smorfia di dissenso sono considerate “carezze” (negative).
Come il cibo è fondamentale per un sano sviluppo corporeo, così le carezze fungono da nutrimento e influenzano la qualità della nostra vita. Il bambino ha necessità di carezze, in particolare di contatto fisico con la persona che si prende cura di lui. Anche l’adulto ha bisogno di contatto fisico, ma crescendo quest’ultimo impara a ricercare anche altre forme di riconoscimento, come una parola di supporto, un sorriso ecc.
Il tipo particolare di carezze ricevute determinerà poi la nostra familiarità a quel tipo di carezze piuttosto che ad un altro, nonché la capacità di recepire carezze e di farne a nostra volta.
Ricevere e dare carezze dunque ci fa sentire riconosciuti e ci permette di riconoscere gli altri. Si può imparare a darne e riceverne di positive , ma bisogna iniziare da sé stessi e un primo passo è vedere le proprie risorse.
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