Stress Lavorativo e Burn-out nella professione medica
Dott. Giovanni Anzuino (Psicologo-Psicoterapeuta)
Dott.ssa Claudia Cocco (Psicologa-Psicoterapeuta)
- Lo Stress Lavorativo nelle helping professions.
Lo STRESS è la condizione nella quale un organismo si trova quando deve adattarsi ad un cambiamento o ad una situazione che gli si presenta. La classificazione di Selye (1976) riconosce due tipi di stress: il primo, giudicato positivo e vitale (EUSTRESS), viene definito come quello che serve a “rendere le persone in grado di aumentare la capacità di comprensione e concentrazione, di decidere con grande rapidità, di mettere i muscoli in condizione di muoversi repentinamente (per attaccare, difendersi, fuggire), di avere a disposizione l’energia necessaria ad agire, a combattere e così via”. Lo stress continuo, cronico (DISTRESS), è invece negativo e devastante. Lo stress può essere determinato sia da eventi piacevoli (es. una bella notizia, una vincita), sia da eventi spiacevoli. Nel nostro organismo, quando si è sottoposti a uno stress intollerabile, cronico, avviene un vero e proprio sconvolgimento biochimico e muscolare. Ogni agente stressante che colpisce un individuo può provocare due reazioni, una positiva ed una negativa; quest’ultima può dare luogo a patologie psicosomatiche a seconda della capacità dell’individuo di trovare in se stesso le risorse necessarie per affrontare una situazione di emergenza.
In sostanza lo stress è la risposta ad una situazione in cui l’individuo è consapevole di una discrepanza tra le domande che l’ambiente esterno gli pone e le sue caratteristiche soggettive ed oggettive. Lo stress sarebbe quindi la conseguenza della necessità di impiegare energie superiori a quelle che solitamente un soggetto è in grado di adoperare.
Nell’attuale mondo del lavoro esistono, oltre a fattori di rischio specifici, responsabili di alcune malattie professionali, numerose altre variabili capaci di turbare l’equilibrio ed il benessere dell’individuo, creando reazioni di disadattamento e di stress, da cui possono derivare malattie non caratteristiche, non specifiche, ma certamente legate alla propria professione.
Nella genesi dello stress lavorativo, un ruolo fondamentale è rivestito dalle caratteristiche sociali ed organizzative del lavoro, le quali possono interagire con gli attributi psicologici e la personalità dei singoli individui.
L’operatore, nella sua attività lavorativa, si trova infatti di fronte ad un sistema complesso, all’interno del quale interagiscono tre componenti: l’uomo, il lavoro e l’ambiente.
Ogni condizione che turbi l’equilibrio del sistema uomo-lavoro-ambiente può essere fattore di stress, e le modificazioni che ne conseguono vengono indicate con il termine di strain.
Schematicamente la relazione STRESS – STRAIN può essere rappresentata dall’accoppiamento di un peso ad una molla, dove il peso rappresenta la sollecitazione di carico (STRESS) e l’allungamento rappresenta la deformazione che la molla subisce (STRAIN): se il peso supera la capacità di elasticità o il carico di rottura della molla, la deformazione diventa irreversibile. Non solo l’eccesso delle stimolazioni ambientali provoca stress, ma anche la loro carenza. Mediatori delle reazioni stress-strain sono il sistema endocrino, il sistema nervoso vegetativo ed il sistema immunitario.
Le reazioni individuali allo stress lavorativo sono legate soprattutto alle caratteristiche psicologiche del soggetto, ma in ogni caso si possono delineare tre tipi di risposta frequentemente osservate:
– Disordini comportamentali
Disordini psicofisiologici
Sindrome del burn-out
La risposta da stress lavorativo è particolarmente frequente in tutte quelle professioni in cui lo specialista viene a contatto con utenti/clienti che vivono una o più situazioni di sofferenza psicologica e/o emotiva e formulano una domanda d’aiuto nei suoi riguardi. Questo tipo di relazione, caratterizzata dall’incontro tra due persone, l’utente e il professionista, viene definita relazione d’aiuto (vedi Chiland, 1995). Medici, infermieri, psichiatri, psicologi, insegnanti, educatori, pedagogisti,assistenti sociali, e tanti altri, sono i professionisti maggiormente coinvolti, per le peculiarità del loro lavoro, in relazioni d’aiuto con i loro utenti, e sono perciò tra le categorie maggiormente a rischio di sviluppare una risposta di stress lavorativo. L’interazione ed il contatto prolungato con la sofferenza dell’utente, infatti, portano i professionisti a sperimentare una situazione di sovraccarico emotivo: questa, se non gestita, può comportare una sensazione di esaurimento emotivo e perdita di energia.Il sovraccarico emotivo e mentale che le professioni d’aiuto richiedono dovrebbe essere sempre ascoltato e valutato quando dà segnali di allarme: se tali segnali vengono trascurati, la risposta di stress potrebbe sfociare nella cosiddetta “sindrome del burn-out”.
- Il burn-out: che cos’è e quali sono le principali cause
Possiamo sinteticamente definire la Sindrome del “Burn Out” (che in italiano possiamo tradurre con “bruciare”), come una progressiva perdita di idealismo, energia e scopi, vissuta da operatori sociali, professionali e non, come risultato delle condizioni in cui lavorano.
Alcuni autori, che più si sono occupati del fenomeno, come la Maslach (1997) , definiscono il burn out come “una sindrome da esaurimento emotivo, da spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente”; e ancora:“una reazione alla tensione emotiva cronica creata dal contatto continuo con altri esseri umani, in particolare quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza”.Il modello elaborato dalla Maslach (2000) rappresenta la sindrome del burn-out in tre dimensioni:
Esaurimento emotivo: si manifesta con la sensazione di aver “bruciato” le proprie energie psicologiche, con un netto calo delle proprie energie emotive, che il soggetto non riesce più a ristabilire. Questo è dovuto ad un prolungato contatto con emozioni stressanti che incidono negativamente sul benessere fisico.
Spersonalizzazione: può essere vista come una strategie difensiva che si manifesta con indifferenza, cinismo verso le emozioni e i bisogni altrui, per evitare la sensazione di minaccia percepita nella relazione con l’utente. L’operatore tenderà a comportarsi in modo freddo e distaccato verso il proprio lavoro, cercando un minimo coinvolgimento e abbandonando l’entusiasmo iniziale.
Ridotta realizzazione professionale: l’operatore tenderà a sentirsi inadeguato nello svolgimento dell’attività, avrà un calo di fiducia nella possibilità di svolgere in maniera efficace il proprio lavoro e progressivamente tenderà a sviluppare un senso di insoddisfazione, di insuccesso, abbassamento dell’autostima verso le proprie capacità, sentendosi incapace di aiutare gli altri.
Come cause fondamentali di fatica e del conseguente calo motivazionale e di efficienza, sono state individuate caratteristiche ambientali oggettive come rumore, sostanze tossiche presenti sul posto di lavoro ecc. Attualmente, invece, la medicina del lavoro e la psicologia attribuiscono un peso notevole a variabili più soggettive e sociali come il clima e l’organizzazione di gruppo, le modalità comunicative interpersonali e il livello di soddisfazione individuale.
Più nello specifico, nel burn out vengono riconosciuti due tipi di fattori predisponenti:
- Soggettivi (o interni)
- Oggettivi ( o esterni)
Fra i fattori predisponenti soggettivi ci sono quelli legati alle motivazioni ed alle immagini ideali del professionista e ad alcuni suoi tratti caratteriali come:
– Uno stato d’ansia costante, proprio di quelle persone che si pongono mete eccessive e che si puniscono se non le raggiungono;
-Uno stile di vita caratterizzato da eccessiva attività, competizione, in continua lotta contro il tempo;
– La rigidità, cioè l’incapacità di adattarsi alle richieste sempre mutevoli dell’ambiente esterno;
– Alcune caratteristiche di personalità come l’introversione;
Fra i fattori predisponenti di tipo soggettivo, sempre la Maslach ritiene inoltre che i professionisti più a rischio di burn out siano quelli che hannodifficoltà nel definire i limiti tra sé e gli altri, e difficoltà nel definire i confini tra professione e vita privata.
Fra i fattori esterni rientrano quelli legati alle condizioni oggettive e relazionali di lavoro, tra cui:
– gli orari prolungati di lavoro;
– il sostegno inadeguato (a volte totalmente mancante) all’interno dell’equipe di lavoro;
– la struttura rigida nella quale il professionista è costretto ad operare in condizioni disagiate;
– la mancanza di rete e contatti tra più figure professionali.
Possiamo quindi sostenere che le condizioni oggettive dell’ambiente lavorativo, la fatica fisica, la mancata gestione dei ruoli, la scarsa qualità delle relazioni lavorative, la carenza nell’organizzazione del lavoro, sono tutte variabili capaci di provocare negli operatori i sintomi che caratterizzano la sindrome del burn out, quali apatia, perdita di entusiasmo, senso di frustrazione.
3 .Le fasi del burn-out e i principali sintomi.
Rispetto all’evoluzione di questa sindrome che, come abbiamo visto, è tipica delle professioni di aiuto, gli studiosi hanno identificato quattro fasi specifiche e distinte (Cherniss,1983):
- La prima fase, spesso costituita da un entusiasmo idealistico, può caratterizzare i primi periodi dell’attività professionale;
- La fase dello stress lavorativo, in cui si avverte un progressivo squilibrio tra richieste ambientali e risorse ed energie personali;
- La fase di esaurimento, in cui si comincia a pensare di non poter aiutare realmente nessuno ed in cui compaiono la tensione emotiva, l’irritabilità e l’ansia;
- La fase della conclusione difensiva o alienazione, con totale disinteressamento emotivo nel lavoro, apatia, rigidità e cinismo.
I comportamenti lavorativi messi in atto dagli operatori in fase di burn out (coping) riguardano soprattutto il rapporto interpersonale con l’utenza nel momento in cui tale rapporto perde la proprietà di relazione di aiuto e diviene essenzialmente una relazione tecnica di “servizio”: perdita dei sentimenti positivi verso l’utenza e la professione, perdita della motivazione, dell’entusiasmo e del senso di responsabilità, impoverimento delle relazioni, utilizzo di un modello lavorativo stereotipato con procedure standardizzate e rigide, cinismo verso la sofferenza, difficoltà ad attivare processi di cambiamento.
Qui di seguito sono elencati i principali sintomi del burn-out o “segni di bruciature”:
SINTOMI FISICI |
1) malessere generale |
2) disturbi del sonno |
3) disturbi gastro-intestinali |
4) perdita e/o aumento di peso |
5) frequente mal di testa |
6) difficoltà sessuali |
SINTOMI COMPORTAMENTALI |
1) impazienza eccessiva |
2) impulsività |
3) irritabilità e aggressività |
4) abuso di psicofarmaci e di alcool |
5) conflitti in famiglia e con il partner |
SINTOMI COGNITIVO-AFFETTIVI |
1) distacco emotivo dai pazienti, non disponibilità verso i loro familiari |
2) rigidità intellettuale, utilizzo di un modello di lavoro stereotipato con procedure standardizzate |
3) negativismo, atteggiamento critico verso i colleghi |
4) mancanza di entusiasmo nel lavoro e fuori dal lavoro |
5) cinismo |
6) depressione |
- Stress e burn out nella professione medica
Il medico come professionista delle professioni d’aiuto (helping professions) è particolarmente soggetto allo stress lavorativo e alla sindrome del burn out. La burocrazia, il lavorare in strutture sanitarie mal gestite, la scarsa retribuzione, il sovraccarico lavorativo, lo svolgere un tipo di lavoro a volte non affine ai propri interessi o agli studi effettuati, la mancanza di spazi e tempi dedicati alla crescita professionale, le difficoltà nel rapporto con i colleghi, sono ritenute dai medici tra le cause più frequenti di stress lavorativo (vedi Pellegrino F., 2006). I medici, insieme agli infermieri, sono particolarmente a rischio poichè la loro attività si svolge a contatto diretto con la sofferenza sia fisica che psicologica dei pazienti e, quindi, richiede un maggiore carico emotivo. Nell’attività quotidiana il burn-outha notevoli ripercussioni sull’efficienza e sull’efficacia professionale con una conseguente complessiva riduzione sulla qualità del lavoro. Il burn-out può essere tra le principali cause di errore professionale, di difficoltà nel rapporto con i pazienti, implicando un significativo calo di empatia e sensibilità ed un aumento di tensione, ansia e depressione nello specialista. Un medico stressato e con calo motivazionale potrebbe non avere la giusta concentrazione, essere distratto, meno in ascolto delle esigenze del paziente e più superficiale nella diagnosi e nella terapia. Tutto ciò incide seriamente sul rapporto medico-paziente, in particolare per quanto riguarda l’empatia, l’ascolto e la comprensione del problema; infatti un medico con molte preoccupazioni, teso e inquieto non avrà la predisposizione adatta per comprendere i problemi e la sofferenza altrui.
Il fenomeno burn out negli ultimi anni ha assunto proporzioni importanti a livello europeo e mondiale, mettendo a serio rischio la salute fisica ed emotiva degli specialisti, come testimoniato da una serie di indagini condotte in diversi paesi da tre ricercatori canadesi e riassunte dalla rivista Lancet: secondo la Canadian Medical Association, il 18% dei suoi soci è riconosciuto come depresso, ma solo 1 caso su 4 prende in considerazione l’idea di farsi aiutare e soltanto il 2% si cura. Così, nel corso della carriera almeno un dottore su quattro “scoppia”, arrivando a sviluppare la sindrome del burn-out. Ci sono forme depressive che portano i medici al suicidio sei volte più spesso di chi fa un altro mestiere, altre che si manifestano con rabbia e irritabilità, casi in cui invece prevalgono mal di testa, nausea e disturbi del sonno. Le conseguenze della stanchezza hanno ripercussioni anche a livello personale, perché aumenta il rischio di ferirsi con un bisturi, pungersi con una siringa, o di provocare incidenti stradali. A rimetterci è poi la famiglia, con una percentuale superiore alla norma di separazioni e divorzi. Molti di coloro che hanno una sindrome del burn-out non ne sono neanche consapevoli e scaricano la propria sofferenza nel gioco d’azzardo, nell’alta velocità, in comportamenti sessuali a rischio, alla ricerca di qualcosa che possa riaccendere le proprie emozioni. La valvola di sfogo più comune è costituita però da alcol, droghe e farmaci, a cui i medici hanno più facile accesso. Gli studi condotti in diversi paesi (ad esempio in Spagna) sono abbastanza omogenei e indicano che a farne uso è circa il 12% dei medici: in base a questo dato in Italia sarebbero circa 40mila gli specialisti alle prese con questi problemi (vedi: Il Corriere.it, gennaio 2010). A finire nel meccanismo della dipendenza sono soprattutto i medici più “stakanovisti” che dedicano tutta la vita al lavoro, sempre disponibili a correre in ospedale e a sostenere turni massacranti. Per sostenere questa emergenza (come sostiene un’esperta del Centro studi Albert Schweizer di Torino, che si occupa tra l’altro del problema del burn-out tra i medici) gli specialisti dovrebbero avere la possibilità di accedere a strutture assistenziali, nel rispetto della privacy: questo tipo di emergenza è però del tutto ignorata nel nostro paese.
- Prevenire il burn-out: strategie organizzative e individuali
Negli Stati Uniti esistono dei programmi di prevenzione e gestione del burn-out che danno degli ottimi risultati; infatti circa il 75% dei medici riesce ad uscire dai propri problemi. Gli ultimi studi sulla prevenzione del burn-out individuano due strategie principali da utilizzare in modo integrato: una di tipo organizzativo e una di tipo individuale.
Un primo passaggio a livello organizzativo è quello di agire sulle strutture di un sistema per eliminarne le caratteristiche patogene o che comportano un peggioramento nella qualità del lavoro e della vita. Individuare fattori stressanti nell’organizzazione del lavoro e quindi risolverli, consente di migliorare la produttività e tutelare la salute degli operatori. Inoltre, se si cambiano gli stili di gestione dei ruoli e i modi di incentivare il lavoro e se si investe sulla crescita umana e professionale, si promuove un clima positivo nell’ambiente di lavoro e relazioni sane nel team degli specialisti.
Ma quali sono le abilità che permettono agli operatori delle helping professions di tutelarsi e quindi di evitare di entrare in burn out? Il primo passo a livello della prevenzione individuale è promuovere la consapevolezza delle principali avvisaglie di stress lavorativo e di burn out, in modo da intervenire prima che compaiano i sintomi fisici e che il malessere si ripercuota sulla vita familiare e sessuale. Inoltre l’approccio della moderna psicologia individua dei percorsi formativi in linea con i modelli dell’intelligenza emotiva e del pensiero positivo. In base ad un’indagine condotta nel 2006 sulle abilità emotive di quasi 1300 medici di medicina generale in varie regioni italiane (vedi Pellegrino, 2006), risulta che il medico possiede buone abilità emotive e le utilizza in modo adeguato. In contrasto con questo dato emerge invece una generale incapacità a riconoscere queste abilità, che comporta una tendenza alla rimozione delle emozioni e alla chiusura in se stessi. Tale chiusura alimenta una sensazione di solitudine, la quale predispone a frustrazione e a demotivazione lavorativa, che potrebbero essere l’anticamera di alcuni sintomi caratteristici del burn-out, come l’alienzione e l’apatia. I percorsi formativi in linea con la psicologia positiva puntano sull’innovazione e la crescita professionale e umana, promuovendo il rafforzamento dell’autoefficacia percepita, dell’autostima, della creatività, dell’intelligenza emotiva e dell’ottimismo, come bagaglio essenziale del professionista delle helping professions e come fattori di prevenzione primaria dello stress lavorativo e del burn-out. Infatti, risulta di fondamentale importanza la consapevolezza e la capacità di gestire le proprie emozioni, per poter sostenere il carico emotivo ed accogliere adeguatamente le persone che soffrono da un punto di vista psicologico.
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